Dai buccheri etruschi allo Stile Orvietano
La ceramica di Orvieto ha una tradizione millenaria, affondando le sue radici fin dai primi insediamenti umani nel territorio.
In epoca etrusca la ceramica di Orvieto ha conosciuto una fase importantissima con la produzione dei buccheri: prodotti a base di argille ricche di ferro e molto raffinate, lavorate al tornio e cotte in mezzo al carbone in mancanza di ossigeno. Questo conferiva ai manufatti il tipico colore nero. Parallelamente, si attesta una piccola produzione di terrecotte dipinte sullo stile dei manufatti greci.
Ma è nel Medioevo che la maiolica arcaica orvietana ha un primato indiscusso, diventando un “modello” per altri centri produttivi italiani: il periodo di maggior splendore è tra la fine del Duecento e la metà del Trecento, con le produzioni in bruno manganese e verde ramina su smalto bianco, abbellite da decorazioni a retina per il fondo e da ricche forme in cui compaiono uccelli, pesci, animali, persone e bestie dalle teste umane.
Nel Quattrocento i maestri artigiani introducono nuovi colori come il giallo, l’arancione e il blu cobalto, insieme a nuove tecniche di decorazione quali l’ingobbio graffita, la mezza maiolica e la “zaffera” blu o verde a rilievo.
In pieno Rinascimento si attesta, lungo Via della Cava, una piccola produzione di ceramica a riverbero, i cosiddetti “lustri”, famosi per l’iridescenza dei colori, i cui riflessi sono paragonati a quelli dell’oro e delle pietre preziose.
Dopo alcuni secoli bui, in cui la produzione si concentra solo su vasellame da cucina e tubi per l’edilizia, negli anni Venti del Novecento, a seguito della riscoperta della maiolica arcaica rinvenuta nei “butti” delle antiche abitazioni, Orvieto conosce un nuovo periodo di grande fortuna per la ceramica con la nascita dello “stile orvietano”, che riprende gli elementi della tradizione medievale e rinascimentale mescolandoli e reinterpretandoli sulle linee dello Stile Liberty e dell’Art Déco allora in voga.
Tra le due guerre, poi, inizia la produzione delle famose brocche con il doppio beccuccio a forma di galletto.
La produzione attuale, concentrata in pochi laboratori artigianali, va dalle riproduzioni delle ceramiche del passato allo Stile Orvietano, dalla terracotta tradizionale a nuove linee di design.
Il Museo Archeologico Nazionale e il Museo Faina, entrambi in Piazza Duomo, ospitano le ceramiche ritrovate nelle tombe etrusche delle vicine necropoli, mescolando produzione autoctona con manufatti greci e dell’Italia meridionale. Se invece avete voglia di una passeggiata nei sotterranei del quartiere medievale, è possibile vedere quelli che furono i luoghi della produzione di Orvieto del periodo d’oro: il complesso archeologico del Pozzo della Cava, infatti, ospita i resti di un grande forno medievale attivo dalla fine del Duecento a tutto il Quattrocento e la base di una “muffola” cinquecentesca per la cottura dei “lustri”. Sono esposti anche alcuni utensili originali, tra cui stampi, fritte, stecche e treppiedi, e numerosi scarti di lavorazione in terracotta, ceramica invetriata, maiolica e lustro.
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